Il perdono
Ognuno di noi può pensare di aver perdonato o di essere stato perdonato almeno una volta nella vita, ma siamo sicuri si trattasse davvero di perdono?
Possiamo parlare effettivamente di perdono solo nella condizione in cui si è ricevuta un’offesa. Il danno e la conseguente ferita, sia essa diretta o indiretta, deve essere considerata grave e ingiusta dalla persona che l’ha ricevuta.
Di importanza nell’atto del perdono riveste sicuramente la responsabilità dell’offensore e se quest’ultimo ha commesso il danno volontariamente o involontariamente. Infatti, saremo più propensi a concedere il perdono nel caso in cui l’offensore abbia agito per condizioni cognitive compromesse, infantilità, costrizione (forze di causa maggiore) o ignoranza, rispetto alla situazione in cui la persona ha agito intenzionalmente e consapevolmente non vincolato da cause esterne o disinformazione. Inoltre, saremo più inclini al perdono se l’offensore dimostra pentimento, risentimento, colpevolezza e sentimento di responsabilità per l’offesa arrecata rispetto al caso in cui colui che ci ha fatto un danno non riconosca il torto e non si sentiva responsabile.
Un altro aspetto importante legato al perdono è la dimensione temporale. Il perdono essendo un processo molto complesso, ha bisogno di tempo anche se non è il tempo che garantisce lo sviluppo del perdono. È importante dunque rispettare dei tempi per perdonare e per richiedere il perdono. Più grave è l’offesa e la nostra ferita più tempo avremo bisogno per perdonare: concedere il proprio perdono prematuramente o sentirsi obbligati (anche se è impossibile perdonare se non esercitiamo la nostra libertà di scelta) a perdonare potrebbe svalutare la ferita e potrebbe causare problemi di altra natura.

Da quanto visto fino ad ora dunque non si parla di perdono quando riceviamo offese di scarsa importanza e rispondiamo a queste con indifferenza e giustificazioni. Quando giustifichiamo e scusiamo l’atto e la persona che l’ha commesso tendiamo a minimizzare l’offesa, diamo spiegazioni del torto subito e non rimaniamo offesi. Nell’indifferenza invece, possono rientrare casi in cui l’atto offensivo non rientra nella sfera dell’immortalità dell’individuo e quindi non sorge la colpa e neanche il perdono.
Diversi sono gli studiosi, di diverse scuole e orientamenti che si sono interessati al perdono. Esistono differenti definizioni di perdono che si accomunano da un unico aspetto: il cambiamento. Il perdono infatti è un processo verso il cambiamento in cui una persona che è stata stata ferita, offesa o trattata in modo ingiusto abbandona i sentimenti negativi, le emozioni e i comportamenti correlati al danno subito e all’offensore talvolta riuscendo a traslarli in emozioni e comportamenti positivi.
Il perdono è dunque un cambiamento prosociale che si basa sul principio morale di benevolenza che racchiude in essa l’amore profondo, la compassione, altri sentimenti benevoli e la generosità. Il perdono può essere considerato un dono verso chi ci ha ferito ingiustamente e verso noi stessi in quanto ci permette di ridurre i pensieri e le emozioni di vendetta, ostilità, risentimento ed evitamento (sia verso colui che ci ha fatto del male sia verso situazioni o persone che potrebbero farlo in futuro) che a loro volta innescano meccanismi di mantenimento di emozioni e comportamenti negativi che destabilizzano il nostro benessere psicofisico.
Possiamo parlare di perdono verso gli altri e di perdono verso se stessi. In questo ultimo caso il percorso intraindividuale del perdono permette di perdonare se stessi e assottigliare le emozioni negative di rabbia, colpa e vergogna per aver commesso un danno ad altri, a se stessi o per aver violato i propri valori morali. Il processo del perdono concede a colui che perdona un ‘occasione per avere un nuovo spazio per vivere la propria realtà e il proprio presente, permette di acquisire e aggiungere nuovi valori al nostro essere e nuove strategie per affrontare le difficoltà.
Perdonare non è un processo semplice e veloce ma bensì è un processo lungo e complesso che inizia con la scelta di voler abbracciare il cambiamento. Come visto precedentemente, voler perdonare qualcuno o se stessi non significa dimenticare il male ingiustamente subito, cadere nel condono, accettare il danno e la persona che ci ha offeso sperando in un pentimento, sentirci obbligati a riconciliarsi con la persona che ci ha fatto del male, offrire clemenza e cercare giustificazioni alla sofferenza. Inoltre, a differenza del pensiero di molti, perdonare non è sinonimo di debolezza o sconfitta. Perdonare significa accettare quello che è successo e concedersi l’opportunità di abbandonare l’odio, il rancore, la disperazione, il risentimento e tutti quei sentimenti che ci risucchiano le energie. Perdonare è un atto di coraggio, forza, amore e rispecchia maturità psicologica in quanto ci permette di fare pace con l’altro e con se stessi in modo che l’offesa ricevuta non ci provochi più dolore. Il processo del perdono come processo di cambiamento ci permette comprendere profondamente le cose, noi stessi, i nostri limiti, la nostra fragilità e vulnerabilità e ci da la possibilità di ricordare e lasciare andare un danno subito o commesso, di avere un nuovo modo di vedere e di vivere gli eventi dolorosi del passato senza sminuirne la gravità e di trasformare il dolore in qualcosa di più positivo.
Sebbene, come abbiamo visto, il perdono è un processo che richiede tempo ed energie, per molte persone è difficile abbracciare tale scelta e risulta essere più semplice seguire i sentieri del giudizio, della condivisione, dell’accettazione o della rabbia. Alla base del perdono possono esserci più motivazioni: possiamo perdonare qualcuno per motivi religiosi infatti nella religione cristiana il perdono è alla base dell’amore e delle relazioni; possiamo perdonare per motivi morali per esempio per evitare di violare i nostri valori morali o per sentirci moralmente superiori all’altro; per motivi relazionali per esempio perdonare per continuare serenamente o per avere più potere all’interno della relazione; oppure si può perdonare per liberarci di un peso, per cancellare il senso di colpa dell’accusa.
Indipendentemente dalle motivazioni sottostanti che spingono una persona alla scelta del perdono, eliminando rancore, rabbia, risentimento e voglia di vendetta eliminiamo anche tutte quelle emozioni che ci avvelenano e risucchiano all’interno di spirali negative per ritrovare un benessere psicologico e fisico.
Negli ultimi anni differenti studiosi si hanno approfondito il tema del perdono. In particolare Enright ha proposto il modello processuale secondo cui il processo del perdono si sviluppa nel tempo e coinvolge strategie cognitive, emotive e comportamentali. Il modello processuale è un modello che spiega come le persone arrivano a perdonare attraverso una serie di fasi che però possono variare individualmente da persona a persona e quindi non per tutti è necessario passare in tutti gli stadi per arrivare al perdono.
Secondo il modello, in seguito ad un danno, la persona offesa sperimenta sofferenza psicologia a causa di emozioni negative come rabbia, rancore, vergogna e risentimenti. Questa è la fase della scoperta ossia la fase in cui il soggetto esamina le sue difese psicologiche e le problematiche, si confronta con la propria rabbia e vergogna ed assume consapevolezza dell’energia emotiva esaurita. Il continuo rimuginare sugli eventi accaduti e la volontà di voler lenire la propria sofferenza conduce la persona offesa alla fase decisionale. In questa a seconda fase la persona ferita inizia a capire che le vecchie strategie di risoluzione non funzionano e inizia ad avere un’apertura a nuovi approcci e verso il perdono. In questo momento l’offeso si trova davanti a un bivio: da una parte rivendicare personalmente l’offesa subita mentre dall’altra rinunciare alla vendetta per punire l’altro e affidarsi alla clemenza. Quando la persona considera la possibilità del perdono, può decidere di abbandonare la strada della vendetta e cercare di lavorare ed impegnarsi sul perdono. La scelta di affidarsi alla clemenza e alla benevolenza secondo l’autore ha una motivazione sottostante più forte rispetto alla ricerca della vendetta. La forte motivazione risiede nella scelta della strada per il perdono e, dunque, nella volontà di mettere in atto nuove strategie cognitivo-affettive che aiutano l’offeso a percepire l’offensore come vulnerabile, per il quale è possibile provare empatia e compassione. In questa terza fase definita di lavoro, l’attenzione si sposta dal sé (dell’ offeso) all’autore del reato, è la fase di rilettura empatica, misericordiosa e compassionevole del danno e dell’offensore. Inoltre, in questa fase è importante l’accettazione e/o l’assorbimento del dolore in quanto punto centrale nell’imparare a perdonare che implica anche l’impegno a non trasmettere il proprio dolore emotivo agli altri (compreso l’autore del reato). Infine vi è la fase di approfondimento in cui si trova un significato per sé e per gli altri della sofferenza e del bisogno del perdono in situazioni passate. Questa rilettura degli eventi passati facilita l’accettazione del dolore, senza dimenticarlo, e offre un nuovo significato più positivo. Si acquisisce la consapevolezza di avere un nuovo scopo a causa della ferita subita e una maggiore consapevolezza della diminuzione delle emozioni negative e, a volte, dell’aumento di sentimenti e comportamenti positivi verso l’offensore. Acquisita tale consapevolezza la persona offesa si trova nuovamente davanti a un bivio: da un parte mettere in atto comportamenti che porteranno alla riconciliazione e dall’altra parte può optare per la diminuzione delle emozioni negative ed un aumento di quelle positive senza un avvicinamento e una riconciliazione.
Nel caso di difficoltà a lenire le emozioni negative dovute a un offesa e alla perdita del benessere psicofisico risulta essere importante chiedere aiuto esterno e iniziare un percorso terapeutico. Luskin, Fox e Flanagan, propongono quattro fasi terapeutiche che possono essere efficaci nell’assistere le persone che lavorano sul perdono e sul perdono di sé insieme ad un terapeuta. Come vedremo le quattro fasi terapeutiche stilate dagli autori riprendono i concetti delle fasi del modello del processo del perdono proposto da Enright. Le fasi terapeutiche includono:
- Riconoscimento: in questa fase il terapeuta cerca di spostare l’attenzione del paziente dall’altro verso il proprio sé in modo che possa sviluppare una prospettiva alternativa della situazione.
- Responsabilità: in questa fase è importante aiutare il cliente a sviluppare la consapevolezza di essere imperfetto e l’empatia verso se stesso. La consapevolezza dell’imperfezione umana rimanda all’individuo che alcune situazioni della vita sono tali e che il risultato è al di fuori del loro controllo.
- Espressione: in questa fase il paziente esprime i sentimenti che sono stati parte del contenuto della ruminazione e dunque dell’offesa. In questa fase possono essere usati i diari di monitoraggio dei pensieri e delle emozioni che aiutano il cliente ad ancorare sentimenti, pensieri e riflessioni e favoriscono il dialogo interno.
- Ricreare: in questa fase il terapeuta aiuta il soggetto a rivalutare il passato e ricreare la propria vita con un’immagine di sé rinnovata.
Bibliografia:
– Barcaccia B, Mancini F (a cura di): “Teoria e clinica del perdono”, Raffaello Cortina Editore, 2013.
– Enright R.D. & The Human Development Study Group (1991). The moral development of forgiveness. In W. Kurtines & J. Gerwirtz (Eds.) Handbook of moral behavior and development (Vol. I, pp. 123- 152). Hillsdale, NJ: Earlbaum.
– Enright, R.D., & Fitzgibbons, R. (2015). 9 Forgiveness Therapy. Amer Psychological
– McCullough M.E & Witvliet C., The Psychology of Forgiveness.
– Worthington, T. y Williams, David R. (2015). Forgiveness and health: Scientific evidence and theories relating forgiveness to better health. New York/London: Springer.